STRUMENTI DI COCREAZIONE

Due settimane fa abbiamo scoperto insieme alcune buone pratiche di co-creazione, ovvero quei processi o esercizi che in un team d’impresa o in un progetto di comunità possono generare empatia, nuove idee, diversi prototipi PRATICHE DI COCREAZIONE.

Dallo studio delle pratiche cominciamo a delineare il profilo dei meccanismi e degli strumenti che ci permettono di mettere in campo azioni di cocreazione, ritenute oggi più efficaci per rispondere alle esigenze di un mercato cangiante e soprattutto per risolvere questioni sociali importanti, che spesso anche le istituzioni stentano a soddisfare. 

Oggi più che mai, visto il cambiamento che stiamo affrontando, è necessario rimodulare il nostro modo di concepire il lavoro, la produzione di nuovi modelli di business, gli strumenti per colmare i vuoti di cui soffrono le comunità e generare sviluppo locale sostenibile. 

Per poter ri-progettare il futuro ci occorre prima di tutto conoscenza, ovvero la possibilità di apprendere quanti e quali metodi e tecniche ci vengono in aiuto in questo momento storico. Per ri-progettare dobbiamo ridefinire la creatività e, soprattutto sfatarne i miti

A far questo ci ha già pensato quello che definiamo DESIGN THINKING, ovvero un modello progettuale utilizzato per risolvere problemi complessi impiegando una visione e una gestione creative, codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford. Possiamo definirlo come un approccio democratico capace di unire diverse forze, di coinvolgere effettivamente l’utente finale nel processo generativo di un prodotto o di un servizio. È considerato un approccio democratico capace di mobilitare tutte le risorse di un’impresa o di una comunità, visto che consente a tutti i membri di un gruppo o di un team di contribuire alle soluzioni. In questo tipo di processo all’apice è posta la PERSONA, a cui si affianca la TECNOLOGIA come strumento utile al raggiungimento dei risultati e che produce ECONOMIA come conseguenza e non come obiettivo primario. 

Per poterci permettere un meccanismo di cocreazione dobbiamo prima di tutto avere le PERSONE. Non persone quantitativamente rilevanti, ma qualitativamente significative per il nostro percorso. Un tempo avremmo chiamato a raccolta ESPERTI. Oggi parliamo di STAKEHOLDER, ovvero tutti quei soggetti che riteniamo essenziali per poter realizzare il nostro prodotto/servizio, compresi, primi fra tutti, gli utenti finali. Perchè?

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Perchè dobbiamo anzitutto sfatare il mito che la creatività sia un lavoro individuale. In passato abbiamo creduto al mito dell’epifania, del genio creativo che improvvisamente partorisce l’idea giusta al momento giusto, attribuendo al singolo individuo la capacità di generare in un istante la “trovata” del secolo. In realtà non è così e la storia ce lo dimostra. Ogni idea che ha prodotto risultati in termini di innovazione è il frutto di diverse componenti, prima fra tutte, la conoscenza del campo in cui ci si sta muovendo. A seguire la condivisione. Anche l’intuizione migliore del mondo se non è in grado di essere condivisa con  altri rimarrà nel tempo soltanto un’intuizione. Poi la creatività necessita di impegno ed esercizio, di errori, di prove, di sbagli e modifiche continue. Infine ogni idea ha bisogno di essere abbandonata. Proprio così. Uno dei mali maggiori che colpiscono le idee e i progetti è l’inguaribile tendenza degli ideatori ad affezionarsi all’idea di partenza, ipotizzando che sia la migliore idea possibile e che proprio perché migliore vada avanti da sola. Nessuna idea si promuove da sola, perchè la storia ci dimostra che le idee più vendute o più apprezzate non sempre sono le migliori, ma sono le più coinvolgenti e le più diffuse. Il criterio che stabilisce la bontà o meno di un’idea non è quindi meritocratico, ma democratico

Quando abbiamo capito che la prima risorsa essenziale per generare processi co-creati sono le persone e abbiamo capito il perchè lo sono, abbiamo bisogno di tools che ci permettono di affrontare la sfida della cocreazione con efficienza. 

Alcuni di questi strumenti li racchiudiamo nel significato di crowdsourcing, ovvero quell’insieme di risorse che ci permettono di progettare un prodotto o un servizio con un insieme di persone organizzate in comunità virtuale o fisica. A fare da capofila nei tanti esempi virtuosi che potremmo fare rispetto a questo processo troviamo Heineken e Audi,che hanno entrambe negli ultimi anni sperimentato forme di coinvolgimento dei loro clienti all’interno del meccanismo creativo, predisponendo nei loro siti delle aree dedicate alla co-progettazione dell’estetica, della qualità e delle prestazioni dei loro prodotti. Senza scomodare i big del mercato internazionale i processi di crowdsourcing sono propri di innumerevoli progetti di sviluppo locale, dove la comunità è chiamata costantemente a comprendere ciò di cui ha bisogno e a studiare come soddisfare da sé quel bisogno. 

Abbiamo visto che le fasi della cocreazione sono 5: 

  • co-iniziare
  • co-percepire
  • co-presencing
  • co-creare
  • co-modellare

Per ognuna di queste possono venirci in supporto diversi strumenti di lavoro. Oggi vediamo insieme qualche esempio. 

EMPATHY CANVAS

Appena abbiamo organizzato il gruppo, individuando tutti gli stakeholder che fanno parte di un processo e individuata la questione da affrontare, dobbiamo acquisire conoscenza e sviluppare empatia all’interno del gruppo. Per farlo possiamo utilizzare diversi strumenti di lavoro, come le interviste tra i partecipanti per stimolare una comprensione profonda della questione che stiamo affrontando e degli stati d’animo che genera. 

Uno strumento molto interessante è il Canvas dell’Empatia.

La mappa dell’empatia serve per capire i bisogni degli utenti e ci permette di visualizzare tutte le caratteristiche dei soggetti per i quali stiamo predisponendo insieme una soluzione. 

Per usarla al meglio, se lavoriamo in uno spazio fisico, stampiamola per attaccare i post-it. Se siamo in uno spazio virtuale condividiamola con tutti gli altri e utilizziamo un sistema di compilazione sinergico online. Solitamente, affinchè l’esercizio riesca al meglio, ci servono almeno 3 ore di lavoro di gruppo, possibilmente, come abbiamo già accennato in precedenza, senza cellulari e distrazioni. Se il gruppo è molto numeroso dividiamoci in team più piccoli, di 4-5 persone l’uno e alla fine ricostruiamo una visione ecosistemica. 

La mappa di empatia può avere diversi formati grafici, ma concettualmente è sempre composta da 6 aree:

  • le 4 aree di empatia:
  • Cosa pensiamo e sentiamo: “che cosa provi rispetto al tipo di problema che stai manifestando?
  • Cosa ascoltiamo: “ che tipo di opinione percepisci intorno a te rispetto al problema?
  • Cosa vediamo: “ che cosa vedi nel problema?
  • Cose diciamo e facciamo: “ cosa pensi di fare rispetto al problema?
  • le 2 aree di riassunto:
  • sofferenze: cosa ti genera sconforto o frustrazione? 
  • benefici: cosa ti renderebbe felice? qual è il fattore con cui misuri la tua soddisfazione?

PERSONA CANVAS

Quando avremo compreso, come singoli e come gruppo, quali sono le emozioni generate dal problema che stiamo individuando all’interno di un contesto, possiamo cominciare a osservarci più da vicino come PERSONAS, indagando, anche dal punto di vista dei dati, come è composto il target. Per fare questo esercizio al meglio possiamo utilizzare diverse pratiche, come quella del 4d mapping. In ogni caso è importante che ciascun membro del gruppo scelga di impersonare un ruolo all’interno del contesto, calandosi nei panni di quel personaggio e rispondendo a suo nome a queste domande: 

  • Quali sono le caratteristiche demografiche del mio personaggio? Età, lavoro, livello culturale, carattere ecc
  • Qual è lo scenario in cui mi muovo? Descriviamo lo spazio, il momento storico, le circostanze potenziali
  • Quali sono le necessità e motivazioni che mi spingono a desiderare una soluzione al problema individuato?
  • Quali sono gli obiettivi che mi portano ad agire? 

Le risposte a queste domande emergono da un’analisi accurata del personaggio, indagando le sue paure, i suoi limiti e le sue opportunità, i suoi condizionamenti esterni positivi e negativi, i suoi desideri e bisogni. Tutto ciò che compone il quadro del personaggio. 

ROLE PLAY CANVAS

Una volta individuate le caratteristiche del nostro target possiamo passare al ROLE PLAY: questa pratica aiuta molto a capire come cambiano le emozioni, i pensieri, le parole dei nostri utenti in base a diverse circostanze. Ci aiuta quindi a completare il processo di empatia. In questa fase possiamo interrogarci sui risultati che una determinata soluzione produrrebbe sul nostro target/personaggio. È il momento di sperimentare scenari diversi, in cui il problema individuato si risolve in un modo o in un altro, producendo conseguenze diverse e valutabili. 

Questi strumenti sono solo alcune delle risorse che possono essere utilizzate per stimolare processi creativi in team o in comunità, dal vivo o da remoto. L’importante è ricordarsi che non è lo strumento a generare il risultato, ma il nostro modo di usarlo e l’atteggiamento che scegliamo di adottare. Quando avremo ultimato il nostro percorso otterremo dei dati che ci permetteranno di prototipare le migliori strategie per raggiungere i nostri obiettivi e cogliere nelle questioni problematiche che affrontiamo delle reali opportunità di crescita personale e della società in cui viviamo.

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