PRATICHE DI CO-CREAZIONE

La scorsa settimana abbiamo visto come si può passare da un tipo di organizzazione ad un altro, come si creano i diversi sistemi di governance all’interno di un’impresa o di una comunità. Abbiamo fatto un viaggio nei movimenti e nelle azioni che ci permettono di generare il nostro ecosistema. Ciò che abbiamo appreso, però, è soprattutto quanto il nostro modo di essere, il nostro senso di responsabilità, la nostra volontà individuale abbia molto a che fare con i cambiamenti che ci aspettiamo nel mondo. Le organizzazioni funzionano secondo la forma che gli esseri umani danno loro. Eppure, quando parliamo fra noi, quando dobbiamo lamentarci di qualcosa, spunta sempre quel nemico invisibile che chiamiamo “sistema”.

La mia impresa non ce la fa a sopravvivere”- è colpa del sistema

In questo borgo non c’è niente da fare”- è colpa del sistema

Nel viaggio che abbiamo fatto e che è riportato nell’articolo COME COSTRUIAMO IL NOSTRO ECOSISTEMA ci rendiamo conto che è il nostro pensiero che crea le organizzazioni e che ciò che possiamo e dobbiamo fare è iniziare a scoprire quanto le nostre intenzioni e i nostri modi di interagire contribuiscono radicalmente a creare e cambiare il sistema in cui ci troviamo. Tutto ciò che dobbiamo fare è passare dal me al noi, dall’ego-sistema all’ecosistema.

Farlo non è solo un esercizio di stile, ma necessita di pratica costante, che nel caso della Teoria U ( che stiamo prendendo a modello in questo percorso virtuale) si estrinseca in 5 grandi fasi:

  • co-iniziare
  • co-percepire
  • co-presencing
  • co-creare
  • co-modellare

Oggi indaghiamo ogni fase, scoprendo alcune piccole pratiche che possono portarci a creare o modificare il nostro sistema impresa o il nostro sistema comunità

webinar del 18/04/2020

CO-INIZIARE

Se manca il contenitore, difficilmente un gruppo di persone riuscirà a interagire in modo generativo. La prima cosa da fare è quindi darsi un luogo di riferimento. Questo luogo può essere fisico o virtuale. Cerchiamo uno spazio accogliente, silenzioso, caldo, oppure utilizziamo strumenti digitali che permettano facilmente a tutto il gruppo di riunirsi, di non avere problemi audio e video, di non avere interruzioni. Chiediamo a ogni membro del gruppo di generare intorno a sé un ambiente confortevole, dove non ci siano rumori di sottofondo o altre persone che disturbano il lavoro che si sta facendo e la concentrazione necessaria. Quando abbiamo creato il nostro contenitore approcciamo al gruppo praticando l’ascolto. Prima quello di noi stessi (della nostra intenzione), quello degli altri (i nostri partner), e infine di ciò che emerge (del flusso che si genera all’interno del gruppo). All’interno di questo spazio avviamo alcune pratiche.

PRATICHE

Possiamo partire dal silenzio. Una volta seduti in cerchio o davanti alla schermo prendiamoci 3 minuti di silenzio e di quiete per connetterci con il momento presente. Poi iniziamo a guardarci con un altro punto di vista, ovvero con gli occhi degli altri. Uno degli esercizi che preferisco in questa fase è quello di avviare una presentazione dei membri del gruppo, chiedendo a ciascun partecipante di presentare la persona che gli sta accanto piuttosto che presentare se stesso. Quando ci guardiamo attraverso gli occhi degli altri cominciamo a maturare un atteggiamento di apertura rispetto al nostro vicino. E proprio questa apertura ci permette pian piano di innamorarci del nostro interlocutore, ovvero di iniziare a coltivare stima nei suoi confronti. 

Questo primo passaggio mostra già dei risultati, soprattutto se il gruppo è formato da due tipologie di soggetti: gli attivisti instancabili (quelli che vogliono raggiungere il proprio obiettivo a tutti i costi) e le voci più deboli (ovvero quelle persone che hanno più difficoltà a diventare attori di un sistema e a tirar fuori le proprie intenzioni). Si discute della vision per cui il gruppo si è riunito, dei maggiori ostacoli, del vero obiettivo del gruppo (che spesso è diverso da quello con cui ciascuno si è mosso inizialmente). Già in questa prima fase vediamo emergere dei risultati.

RISULTATI

  • un’idea condivisa da cui partire
  • un elenco di questioni critiche da esplorare
  • un gruppo ristretto di persone che si mettono in gioco
  • una pratica di ascolto profondo
  • un luogo che diventa “casa” del gruppo
  • una prima embrionale mappa del percorso da intraprendere

CO-PERCEPIRE

A questo punto è necessario lavorare sulla formazione del team per avviare il cammino di co-creazione. Nel processo di co-percezione è essenziale che si interrompa quel meccanismo che di solito porta a delegare ad altri più esperti o consulenti esterni la ricerca di soluzioni e risposte alle domande. L’organizzazione tende in questa fase a decentralizzare, spostando le responsabilità su altri del gruppo o esterni al gruppo, evitando di assumere su di sé la responsabilità decisionale e operativa. Per evitare che ciò accada bisogna portare tutti i membri del gruppo a calarsi nei panni del soggetto beneficiario delle proprie azioni. Nel caso di un’impresa parliamo di cliente, nel caso di una comunità parliamo del tipo umano che maggiormente necessita di un prodotto o di un servizio

PRATICHE

Per farlo al meglio attuiamo anche in questo caso delle pratiche: 

  • Individuiamo all’interno del gruppo oppure uniamo ad esso alcuni stakeholder (talenti e competenze necessarie al progetto) con cui chiarire che cosa vogliamo creare, perché è importante, come vogliamo crearla, con che ruoli e responsabilità, quando e dove. Organizziamo, quindi, incontri di dialogo in cui praticare ascolto empatico. Se il lavoro che stiamo facendo riguarda un progetto di comunità camminiamo e muoviamoci nei luoghi della comunità, incontrando anche persone per caso e ponendogli delle domande utili al nostro scopo. Se lo stiamo facendo all’interno di un’azienda, spostiamoci nei luoghi in cui l’azienda opera. Se lo stiamo facendo virtualmente esercitiamo l’immedesimazione cercando di spostarci virtualmente da un luogo all’altro. Sul nostro diario cerchiamo di appuntare le informazioni rilevanti che emergono dal dialogo, le persone con cui parliamo e il loro ruoli.
  • Al termine dell’esercizio ritorniamo ad una riflessione collettiva, chiedendoci:
  • Che cosa è emerso dal dialogo?
  • Cosa è stato più sorprendente?
  • Cosa ci ha toccato di più?

Nel momento del Co-percepire possiamo mettere in campo diverse pratiche, utilizzando anche gli oggetti e il corpo come in un’azione teatrale. Quando pratichiamo ad esempio il 4d mapping, possiamo calarci fisicamente nei panni di un altro stakeholder, posizionarci nello spazio in base alla posizione attuale che il soggetto ricopre nel sistema che stiamo indagando. Questo tipo di esercizio che richiede almeno 3-4 ore di pratica, ci permette di generare in modo ancora più forte un’empatia sociale, consentendo ad ogni membro di vedere l’altro come un’opportunità per l’intero sistema che sta andando a generarsi. 

RISULTATI

Al termine di questa fase avremo:

  • un elenco di forze trainanti capaci di trasformare il sistema
  • un elenco di domande chiave
  • un elenco opportunità
  • un elenco di connessioni personali legate alle opportunità
  • un team di base attivato
  • una mappatura delle barriere
  • una migliore capacità di costruire relazioni generative tra stakeholder

CO-PRESENCING

Il presencing somiglia molto al co-percepire, ma mentre il secondo è focalizzato sulla realtà così com’è, in questa fase ci focalizziamo sul futuro emergente. Questo tipo di operazione è tanto più efficace se per 4-5 giorni il team sceglie di andare in ritiro nello stesso luogo, mettendo in campo le pratiche che seguono. Nulla vieta di poter continuare, però, a praticare co-presencing anche da remoto nella vostra stanza virtuale. 

Questa fase necessita di alcune accortezze

  • ignorate il telefono
  • fate precedere l’esercizio sempre da un momento di silenzio intenzionale
  • prendetevi un impegno rispetto alla vostra sessione di lavoro

In questa fase la pratica sarà uguale a quella precedente ma ci concentreremo sul futuro. Se stiamo praticando il 4d mapping ci posizioniamo nello spazio in base a dove lo stakeholder che abbiamo scelto di interpretare potrà essere domani, in un sistema ben funzionante. Se pratichiamo questo esercizio ci rendiamo improvvisamente conto di una rete di relazioni che spontaneamente si andrà a determinare, intrecciando gli stakeholder tra loro e formando così un’organizzazione ecosistemica. Quando avremo finito potremo passare ad analizzare ciò che è accaduto e a vedere, a livello ancora embrionale, la creazione di uno o più prototipi, ruoli ben delineati all’interno dei prototipi e un’idea che cartesianamente definisco “chiara e distinta” di ciò che come gruppo stiamo andando a costruire.

RISULTATI

Alla fine raggiungeremo questi risultati:

  • una serie di iniziative di prototipazione
  • stakeholder chiari per ogni prototipo
  • un elenco di potenziali membri del team aggiuntivi che devono essere ingaggiati
  • una mappa visibile del nostro ecosistema

CO-CREARE

Il fine del co-creare è costruire piste di atterraggio per il futuro, attraverso prototipi che evolvono in base ai feedback che generano. Questo movimento si ispira al design thinking e avviene, di solito, circa 6 settimane dopo il presencing, perchè ogni team lavora e presenta ciò che ha imparato dalle proprie attività. Poi si ripete, modificando di volta in volta le iniziative in base ai feedback ricevuti. Per poter generare feedback dobbiamo calare nel mondo il nostro prototipo ed essere disponibili a rimetterlo in discussione più è più volte.

PRATICHE

  • Il team che prototipa una determinata azione deve impegnarsi ogni giorno a scrivere i suggerimenti che il mondo gli ha dato, ricordandosi di non giudicarli né giusti né sbagliati
  • Per ogni suggerimento dovrà riportare ogni giorno delle domande 
  • Il giorno dopo butterà giù risposte a quelle domande. Se ne nasce un flusso di idee, si impegna a seguirlo
  • Di conseguenza segna sul diario i possibili passi successivi. 

RISULTATI

Alla fine avremo ottenuto questi risultati:

  • una serie di prototipi ben definiti
  • una serie di connessioni con stakeholder e partner
  • una leadership potenziata
  • uno spirito di squadra
  • una fiducia creativa fra i membri del team

CO-MODELLARE

È il momento di evolversi. Ogni prototipo attraversa diverse forme approssimative. Mentre evolve trattiene le migliori caratteristiche ma cambia le peggiori. Per poter co-modellare occorrono spazi dove coltivare la pratica, laboratori e piattaforme per coltivare il terreno sociale e in cui ci sia un capitale intellettuale condiviso e la costituzione di una comunità che continui a generare il campo della co-creatività.

Quando saremo arrivati a questo punto potremo avviare i nostri modelli imprenditoriali in modo più strutturato e capace di cambiare nel tempo senza traumi. Ognuna di queste macrofasi permette di utilizzare altre pratiche e tanti strumenti che permettono di passare da un momento all’altro della cocreazione. La prossima settimana inizieremo a vederne alcuni a cui sono affezionata e che nei laboratori che curo danno sempre ottimi risultati. Per continuare a seguire il percorso iscriviti alla newsletter e resta aggiornato.

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