
Ci sono un piemontese, una romana, un salernitano e una friulana. Sembra l’inizio di una barzelletta, ma non lo è. Piuttosto è l’inizio di una bellissima storia, di quelle che vale la pena raccontare. Una storia di trasformazione, di quelle in cui i protagonisti entrano nel racconto in una certa condizione e se ne vanno in una completamente diversa.
È l’inizio di un workation camp, un’esperienza di viaggio, lavoro, formazione e scoperta guidata, che si affaccia dalle vetrate del coliving Home4Creativity sui monti della Sila, nell’entroterra calabrese.
Sono ingegneri, traduttori, operatori turistici. E insieme a loro ci sono altre persone da tutta Italia. Giornalisti e fotografi. Nomadi digitali, imprenditori, filosofi e blogger.
E siamo tutti accomunati da una cosa: la voglia di creare qualcosa di nuovo, aiutandoci a vicenda a farlo nel corso di una lunga settimana di crescita.


[foto di Marco Mignano]
In questo caso c’è anche un altro obiettivo, ovvero imparare a scoprire e raccontare storie. A diventare dei travel storyteller, come ci piace definirci. Ma in fondo è quasi una scusa, una linea narrativa iniziale, su cui però i protagonisti costruiscono il proprio racconto. Lo co-creano, anzi.
È stata proprio Roberta, l’esuberante ideatrice di questo spazio di creatività guidata in mezzo alle montagne, a dircelo. Proprio in quel primo giorno piovoso alla Home in cui eravamo un gruppo di sconosciuti, che ora sembra lontanissimo.
“Spesso i coliving diventano solo dei coworking con delle stanze; qui a Home4Creativity non volevamo ritrovarci a fare questo, e uno dei modi che abbiamo scelto per evitarlo si chiama “workation”. Che sia sul travel storytelling, sul nomadismo digitale, sul turismo esperienziale o altro è quasi secondario: il punto è vivere un’esperienza di vacanza, che però ti porta una trasformazione”.
Nessuno di noi sa bene cosa aspettarsi, in quel momento. Ci ritroviamo qui quasi per caso, perché abbiamo risposto a una voce interiore, a quel desiderio di realizzarci professionalmente e personalmente attraverso le nostre passioni che il richiamo di questa workation ha fatto vibrare dentro di noi.


Roberta, con fare filosofico che si presta alla stanza Socrate in cui ci troviamo, ci chiede di presentarci in maniera alternativa: non dobbiamo nominare nulla che abbia a che fare con il nostro lavoro. Una sfida più ardua di quanto sembri, che ci fa capire quanto sia difficile staccarci da ciò che pensiamo di dover essere. Ma come possiamo diventare ciò che vogliamo davvero essere, se non conosciamo ciò che siamo?
Insomma, siamo confusi, da subito. Scopriamo di non sapere, anche chi tra noi è stato invitato qui come formatore e non solo come fuitore.
Ma è questo il bello: come scopriremo nell’arco di questa settimana, alla Home durante una workation nulla è statico.


[foto di Marco Mignano]
I ruoli si invertono, si mischiano, si mettono in discussione.
Il papà di Roberta diventa un cuoco stellato, la mamma una guida costante, la nonna una mascotte sorridente. E allo stesso modo, come una normale famiglia calabrese si trasforma in supereroi dell’accoglienza turistica, così i professori diventano studenti, gli allievi propongono soluzioni nuove, e tutti imparano e crescono. È la magia della workation.


[foto di Enrico Caracciolo]
E poi c’è l’esperienza, che è notoriamente maestra di vita.
E così tra una presentazione e l’altra, tra un pasto sontuoso e il successivo (che in realtà si intersecano in un’orgia continua di sapori autentici calabresi), usciamo a scoprire il territorio. Perché è questo il lavoro di un travel storyteller.
Scopriamo Vaccarizzo, paesino sconosciuto in provincia di Cosenza ma centro del mondo, che dall’alto dei suoi 500 abitanti è uno dei tanti borghi-gioiello d’Italia che si sono e si stanno spopolando.
Ma qui c’è qualcosa di diverso: un amore spropositato dei suoi abitanti, di ieri e di oggi, per questo luogo arroccato tra i monti. La loro voglia di agire e reagire, che li ha fatti scegliere da nientepopodimenoche l’MIT di Boston per un progetto internazionale di sviluppo dal basso. La “teoria U” di Otto Scharmer, secondo la quale ogni bisogno sociale si può affrontare stimolando le comunità locale.


[foto di Marco Mignano]
In questo paesino sconosciuto in provincia di Cosenza, i suoi 500 abitanti stanno sorprendendo con i propri risultati persino l’ideatore della teoria stessa a Boston.
Scopriamo le loro storie, i volti, gli accenti. Le mani, gli sguardi, gli sforzi. Il cibo gustoso e il vino abbondante, soprattutto.
Mettiamo le mani in pasta rollando i tipici “maccaruni”, testiamo il ruolo sociale dell’unico, vitalissimo bar del paese, scopriamo arti e mestieri dimenticati.
Ci informiamo sui costi dell’acquisto di case qui, che come i tanti turisti che sono affiorati tra queste vie da quando la voce del progetto del Mit si è sparsa, stiamo pensando che forse è proprio in un posto del genere che la vita può davvero scorrere autentica e felice.
Poi è il momento di Cosenza, città dai due volti, piccola metropoli con un’anima antica. Che ci saluta con aspetto moderno, con il bianco del ponte di Calatrava, con le opere d’arte sparse per la città e i locali alla moda. Ma che poi ci strega con il fascino decadente del suo centro storico arroccato sui colli, più di tutto.
Ti addentri nelle viuzze ripide e rimani sorpreso dall’apparente abbandono. Le scritte sbiadite sulle insegne anni ‘60, sopra vecchi portoni di legno incatenati, lasciano intravedere un passato glorioso. La prima impressione è di tristezza.


[foto di Ilaria Cazziol]
Poi però entri in una bottega. E in un’altra. E in un’altra ancora.
Conosci Ottaviano che lavora la pelle con le mani. Eugenio, che crea opere d’arte sotto forma di chitarre, il Maestro Caruso che realizza arazzi al telaio che rappresentano Gioacchino da Fiore e i filosofi calabresi. Artigiani, artisti, pittori, sarti. Antichi mestieri che in questo luogo trovano e ritrovano il proprio posto, lo valorizzano e ne vengono valorizzati.
Sono loro i veri narratori, e noi non facciamo che raccoglierne la voce e portarla fuori da quelle antiche mura. Fuori dai limiti di spazio e tempo.


[foto di Enrico Caracciolo]
È così che diventiamo travel storyteller. Chi già lo era, chi lo sarà.
E mentre gli ultimi granelli di sabbia scorrono nella clessidra di questa settimana, ognuno si racconta e racconta. Non solo ciò che ha vissuto in questi giorni, ma anche e soprattutto ciò che sarà da qui in poi. Perché in questo periodo hanno preso sostanza sogni e progetti, e quando lasceremo la Home saremo gli stessi ma anche diversi.


[foto di Marco Mignano]
Intanto, perché siamo diventati amici. Quel tipo di amicizia che la convivenza forzata crea in giorni dove la vita forma in anni.
Perché sono nate idee dalla contaminazione di storie e capacità diverse, lontane anni luce. Perché siamo cresciuti, spinti non dal tempo ma dalla pienezza di vita di questi giorni.
Ci siamo trasformati? Forse. Questo ce lo dirà il tempo.
Ma cos’è una trasformazione se non quel primo passo fatto in direzione del cambiamento?


[foto di Marco Mignano]
Autore: Ilaria Cazziol, travel storyteller